dalla Siria alla Valle Gesso
È il cereale di montagna per eccellenza, ma non è nata sulle Alpi: la segale ha iniziato la sua brillante carriera migliaia di anni fa in Asia Minore, come infestante dei campi di frumento e di orzo. Facile da individuare grazie alla taglia ben maggiore rispetto agli altri due cereali più pregiati (fino a 2 metri), la spilungona indesiderata veniva regolarmente allontanata dai campi. Nel tempo, però, la segale è riuscita a guadagnarsi la considerazione degli agricoltori: garantiva infatti una buona produzione di granella anche nelle annate peggiori, quando invece il frumento e il grano “segnavano il passo”. È stato così che la segale, come già era successo all’avena, da cenerentola dei cereali è diventata a tutti gli effetti una specie degna di essere coltivata in purezza.
Una tipa tosta
Non c’è da stupirsi dell’ampia distribuzione della segale lungo l’arco alpino: a osservarla da vicino questa piantina si rivela una perfetta macchina per resistere al clima alpino. Tanto per cominciare, svernando durante lo stadio vegetativo, la segale si trova a combattere i molteplici attacchi che il freddo prolungato sferra ai suoi giovani cespi. Che fare? Non potendo darsela a gambe né lasciar cadere le foglie, la segale oppone al gelo una fiera resistenza passiva. In altre parole, gli attacchi delle basse temperature vengono subiti “incassando”: il segreto sta tutto una serie di adattamenti cellulari. L’acqua presente nelle cellule si sposta verso gli spazi intercellulari, mentre l’aumento in ogni cellula della concentrazione degli zuccheri abbassa la temperatura di congelamento. In questo modo, se si raggiungono temperature di congelamento, i primi a congelare sono gli spazi intercellulari, meno delicati e strategici per la sopravvivenza rispetto alle cellule.
Ma il freddo non è il solo nemico della segale, anzi!
Per quanto possa sembrare strano, il periodo dei grandi freddi intensi e duraturi è il meno critico per la sua sopravvivenza, perché all’arrivo del generale inverno la segale si trova già perfettamente acclimatata e pronta ad accoglierlo. Al contrario, bruschi e inaspettati cambiamenti delle temperature, come le gelate precoci o tardive, sono molto più pericolosi perché colgono la segale impreparata, in un momento in cui i suoi meccanismi di autodifesa non sono ancora entrati in funzione oppure sono appena stati dismessi e manca il tempo per attivarli.
Senza contare la neve!
Se da una parte un manto nevoso spesso e continuo svolge un’essenziale funzione protettiva, smorzando i temibili sbalzi termici, d’altro canto una permanenza eccessiva della neve può “sfinire” la segale, che al buio è costretta a consumare le proprie riserve in assenza della luce necessaria per autoalimentarsi.
E dove lo mettiamo il ristagno delle acque di fusione della neve? Può capitare che la segale lo subisca come un allagamento, che tende a soffocarla e a favorire gli attacchi di funghi patogeni … Insomma, anche per una “tipa tosta” come la segale crescere in montagna non è una passeggiata!